luogo luògo (pop. lògo) s. m. [lat. lŏcus] (pl. -ghi; ant. anche le luògora). – sezione dello spazio idealmente o materialmente circoscritta
Ci troviamo a Valdobbiadene, in località Riva di Martignago, il nostro “luogo”. Un fazzoletto di terra e selce, vitata dal 1935, a metà strada tra la piazza maggiore del paese e l’abitato della frazione di San Pietro di Barbozza, sulla punta dei piedi della giogaia del monte Cesen.
Nella piccola vigna di famiglia coltiviamo le varietà che componevano l’uvaggio storico del Prosecco di Valdobbiadene, Glera perlopiù, insieme a qualche pianta sparsa di Bianchetta, Verdiso e Perera, producendo circa 3mila bottiglie l’anno, nella tipologia frizzante a rifermentazione in bottiglia, dedicate al nonno “Geronazzo Giacomo”.
Ma non è tutto: a Pianezze in montagna ci prendiamo cura di alcuni prati da affienare in località Perèr e raccogliamo il ginepro selvatico, mentre sopra Barbozza badiamo ad una porzione di bosco ceduo nella pertinenza del “Bòsc de la Curta” in località Volpère.
Si estende in riva al torrente Cordana la località Riva di Martignago, una delle 15 Regole che formavano la Val di Dobiadene fino alla caduta della Serenissima Repubblica Veneta (1797). Qui in Strada della Morte troviamo sede tra le case e le persone del ceppo familiare dei Batistèla di cui siamo parte, locale soprannome che identifica lo specifico ramo dei Geronazzo, un cognome tra i più diffusi a Valdobbiadene. Il particolare nome della via, tra le diverse versioni e leggende, trova storicità in seguito a una terribile epidemia di colera che il secolo scorso colpì particolarmente questa zona a metà dell’Ottocento. Per questo motivo nel 1854 fu eretto un oratorio “Alla Morte” dedicato ai Santi Sebastiano e Rocco e la strada antistante fu intitolata a tale mistero religioso.
La storia recente del nostro “luogo” risale al 1935 quando il trisavolo Giacomo Geronazzo piantò l’attuale porzione di vigneto in concomitanza della nascita del nipote, Giacomo anch’egli. Sui passi del nonno, il nipote Giacomo, una volta rientrato da Milano (dove giovanissimo era stato costretto a emigrare per sostenere la famiglia), a partire dagli anni ’70 torna a prendersi cura della vigna di famiglia grazie alla zia Ida, rispolverando la tradizionale vinificazione a rifermentazione in bottiglia. Allo stesso modo, torna a prendersi cura della montagna con il prato da affienare e del bosco, ripristinando inoltre il legame con tra il “luogo” e gli animali attraverso una piccola stalla con due manzette, il pollaio e le conigliere.
Simboli di un’agricoltura di sussistenza e a ciclo chiuso scolpita nell’identità delle famiglie di Valdobbiadene, almeno fino a cinquant’anni fa.
Con la scomparsa del nonno Giacomo le uve vengono conferite a cantine terze fino a quando Gianluca, figlio di Antonella e nipote di Giacomo, di nuovo sui passi del nonno, inizia ad occuparsi della gestione dell’azienda e a riprendere la tradizionale vinificazione con il supporto di tutta la famiglia.